La mia prima casa, la prima casa in cui ho vissuto quando sono “andata fuori di casa”, è stata una casa di studenti a Trieste.
Era un piccolo appartamento al piano terra, in una palazzina anni ’70, alla fine di una lunga e stretta strada in salita.
Nei giorni di Bora quella strada sembrava ancora più lunga e ancora più in salita perché, per qualche strano fenomeno fisico, lì il vento non era mai a favore.
Avevamo due camere doppie, un unico bagno e una cucina in comune. Un pout-pourri di mobili scombinati e di recupero veniva diviso con precisione euclidea, tra quattro ragazze che non avevano nulla in comune tra loro.
Nemmeno il momento del pranzo o della cena ci accomunavano: ognuna cucinava per sé e, in dispensa, c’erano persino quattro barattoli di sale da cucina e quattro contenitori di zucchero.
Non c’era nessun oggetto in quella casa che si potesse definire “bello” e non c’era nemmeno l’atmosfera scanzonata, amichevole e comunitaria che immaginavo ci fosse in una casa di studenti e di cui sentivo terribilmente la mancanza.
L’appartamento Spagnolo, film di di Cédric Klapisch immagine tratta da www.kinopoisk.ru/picture/1531139/ |
I tocchi personali e il decor che, nei miei sogni, avrei voluto dare alla mia prima casa, lì si ridussero alla parure copripiumino, ai cosmetici in bagno, alla tovaglietta all’americana, che usavo per apparecchiare il mio posto tavola e alla mia tazza per la colazione.
Fu un periodo di totale frustrazione creativa. E durò per quasi due anni.
In quei due anni capii cosa significa “sentirsi a casa” cosa significa avere un posto che ti appartiene, che senti tuo, un posto in cui tornare la sera e tirare un sospiro di sollievo : “…casa!”.
Forse per reazione all’entropia dell’alloggio universitario, la mia seconda casa fu ordinata e minimale. Quando finalmente avrei potuto sfogarmi con la decorazione, scelsi pareti bianche, mobili bianchi, divano bianco, nessun tappeto per terra, nessun quadro alle pareti.
Il mio bisogno di tranquillità domestica, dopo quella esperienza comunitaria si rifletteva nel bisogno di una casa il più possibile vuota. La mia personalizzazione era una casa spersonalizzata.
Ecco quali sarebbero stati i miei ambienti domestici ideali in quel periodo:
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Credo che la fase “minimal” appartenga a quasi tutti gli architetti. Qualcuno resta fedele al minimalismo per tutta la vita, qualcun altro si rilassa, si rassegna o si evolve in stili differenti, in base alle esperienze della vita.
Nel mio caso ci volle un po’ prima che riuscissi a tollerare di nuovo pareti colorate, quadri e persino il portafrutta sul tavolo.
Ho abbandonato lo stile immacolato perché, per il mio modo di vivere, tutto questo bianco incantato è terribilmente faticoso. Deve, per forza di cose, essere sempre tutto perfetto, ordinato, pulito, altrimenti tutto quel rigore estetico non avrebbe senso. Provate a guardare le foto sopra e immaginate la cucina con la pentola del ragù sul fuoco, le verdure da affettare sul piano di lavoro, gli utensili da cucina in vista, gli strofinacci appesi…no…impossibile…
Stessa cosa le altre stanze, non potreste mai spostare la scenografia dei cuscini o dimenticarvi una bottiglia di birra sul tavolino né pensare di tenere un portaspazzolini o un asciugamano in bagno, senza alterare un equilibrio perfetto.
Per infrangere del tutto l’incantesimo aggiungete a tutto questo i giochi dei bambini sparsi in giro e le impronte di manine unte sui mobili e sui vetri.
Abitando le mie case (ne ho cambiate 5 in 8 anni) ho capito che non c’è niente che renda più confortevole una casa, della libertà creativa. Il non sentirsi vincolati a una moda, a un diktat stilistico, fa sì che possiamo allestire degli ambienti domestici che rispondono alle esigenze della nostra vita quotidiana , che ci assomigliano davvero e che è anche più facile sottoporre a cambiamenti, con aggiunte e sottrazioni, con il passare degli anni.
Il che non vuol dire che dietro alla libertà espressiva non ci debba essere un progetto, significa solo che quel progetto deve essere personale e flessibile e che ogni abitazione deve essere studiata sulle abitudini dei suoi abitanti.
Per questo motivo ora apprezzo le case originali, quelle con una personalità, nel senso che somigliano alle persone che le abitano.
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Quelle dove tante cose diverse tra loro riescono a trovare un’armonia
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Quelle che, non importa se non si è mai visto niente del genere su una rivista di arredamento
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Dove non è per forza sempre tutto perfetto
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Quelle dove lo stile è un po’ fuori dai soliti schemi
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Dove gli oggetti vengono scelti perché hanno una storia da raccontare
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Dove si respira un’aria di rilassata tranquillità
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Dove ci si può sbizzarrire senza aver paura di osare
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Dove anche i bambini e i loro oggetti trovano il modo di esprimere la loro presenza
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Dove la bellezza è fatta di cose semplici
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e non per forza costose
Enjoy your home!
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