Il mio caro fratello allergico al design, quello che avete conosciuto QUI mi ha inviato, qualche giorno fa, questo link sulla mostra Estetica della Miseria realizzata a Palazzo Litta a Milano in occasione della Design Week.
I sedici lavori esposti sono stati realizzati dagli studenti del Laboratorio di design degli interni  della Scuola di Design del Politecnico di Milano, coordinati da Andrea Branzi e Michele De Lucchi e rappresentano spezzoni di paesaggi urbani e interni, accomunati da situazioni di decadenza , di povertà, di miseria.
Quello che in genere la cultura del lusso occidentale cerca di nascondere e di ignorare, qui viene messo in scena, sotto i riflettori e sotto gli occhi degli spettatori, nella contrastante e sontuosa cornice barocca di Palazzo Litta .
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Il tema dell’evento, suddiviso in sette appuntamenti, era Materiali: una questione di percezione” . Gli studenti del Politecnico hanno trasformato, con la loro manualità e senza l’aiuto di tecnologie avanzate, quei materiali, che siamo abituati a vedere e toccare in oggetti o edifici quotidianamente vissuti, in una cruda e iperrealistica rappresentazione della miseria.

E’ rappresentata la miseria storica, la miseria come semplice stile di vita gitano ma anche la “caduta in miseria” , resa egregiamente da un pianoforte abbandonato in un salone scrostato dal tempo e dall’abbandono.

Racconta alla rivista Domus  Davide Prestigiacomo, uno degli studenti che ha preso parte al workshop poi sfociato in questo evento, che lo scopo del corso era di “esplorare in modo libero tutte le accezioni che la miseria può assumere in uno spazio in cui l’uomo agisce, abita, esiste” .


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Nell’articolo di Repubblica , gentilmente inviatomi da mio fratello,  si sottolinea come:
non c’è dubbio che l’occidente la miseria l’ha quasi sempre occultata, nascosta e rimossa, e anche la cultura del progetto – concentrata sui miti del benessere e del consumismo – ha evitato di confrontarsi con la condizione socio-antropologica di chi vive ai margini, nei “bassi” o nelle favelas, sotto i ponti o nelle baracche di lamiere”.
E poche righe dopo ci si chiede È proprio vero che il design non si è mai occupato della povertà?”.
Ne avevo parlato in uno dei miei primi post , in realtà il Design nasce con una forte vocazione sociale e ancora oggi sono molti gli esempi di progettazione a basso impatto indirizzati a risolvere le necessità primarie dei paesi poveri del mondo.
Eccone alcuni:
Solar Bottle,  disegnata da Alberto Meda e Francisco Gomez Paz , è una bottiglia in grado di rendere potabile, in sole 6 ore,  4 litri di acqua grazie alla semplice esposizione alla luce solare. La maniglia, oltre al trasporto, serve per regolare l’angolo di inclinazione della bottiglia per migliorare l’esposizione alla luce solare nelle diverse ore della giornata.

L’utilità di questo semplice oggetto, pensato e studiato in ogni dettaglio, con la cura e l’impegno che si riserverebbe ad un oggetto destinato al mercato del lusso, è di immediata comprensione: permette di evitare le infezioni (tifo e colera ad esempio) dovute all’ingestione di acqua contaminata, in tutti quei paesi in cui purtroppo non c’è accesso a fonti di acqua potabile.
Rototanica, progettata nel 2006 da Stefano Giunta e Francesco Anderlini, è un sistema tanto geniale quanto semplice per il trasporto manuale di 18 litri di acqua, una quantità  che sarebbe difficile trasportare per lunghi tragitti e senza un mezzo di trasporto.  Rototanica sfrutta il principio della ruota per agevolare gli spostamenti evitando di sollevare il carico, che verrà semplicemente fatto rotolare.

Il contenitore  in polimero plastico, grazie alla forma rotonda ed allo spessore elevato, è in grado di resistere alle sollecitazioni che può subire durante un uso intensivo a pieno carico, anche su percorsi sconnessi.
Il manubrio metallico è progettato per garantire una presa ottimale e per essere facilmente smontato dalla tanica che, senza manubrio è impilabile.

E’ uno strumento utilissimo nei paesi in via di sviluppo dove non esiste una rete di distribuzione capillare dell’acqua. Questo progetto ha un valore aggiunto se si pensa al fatto che l’approvvigionamento idrico  in questi paesi è delegato a donne e bambini, costretti a farsi carico di un peso enorme per lunghi percorsi.

Questo meraviglioso oggetto di design è, dal 2013, prodotto industrialmente, grazie al contributo economico di un finanziatore che ha voluto mantenere l’anonimato e grazie a enti e onlus che cooperano nel continente africano, viene distribuita gratuitamente in Burkina Fasu e nelle regioni Centroafricane e Subsahariane.
Waka waka  (luce brillante in Swahili) è una lampada ad energia solare , nata per rendere accessibile il diritto all’illuminazione artificiale a quel miliardo e mezzo di persone (un quarto della popolazione mondiale) che ancora vive senza elettricità.
La distribuzione di waka waka  nei paesi poveri del mondo è resa possibile da un sistema di sovvenzione incrociata. In pratica i ricavi ottenuti dalle vendite dei prodotti nei paesi occidentali, permettono di regalare questa lampada ai paesi più svantaggiati. Questo progetto della waka waka Foundation  prende il nome di A.U.R.U.M , un acronimo per “Acquistane Una, Regalane Una al Mondo”. La mancanza di luce artificiale riduce notevolmente la qualità della vita e le lampade al kerosene usate nei paesi in via di sviluppo sono costose e pericolose. Questa lampada produce luce artificiale gratuitamente , grazie all’energia del sole e permette ai bambini di studiare in sicurezza anche durante le ore di buio.



Weaving a Home è un interessantissimo progetto dell’architetto Abeer Seikaly che ha lo scopo di trasformare una tenda, simbolo della vita nomade ma anche delle difficoltà dei rifugiati a causa delle guerre o degli eventi naturali, in un luogo sicuro e accogliente, dotato del comfort di acqua e luce. Questa casa, proprio come una tenda è leggera e trasportabile può essere aperta durante l’estate e chiusa per trovare riparo da freddo e pioggia durante la stagione invernale.

Fonte

Il valore del Design risiede proprio nella sua capacità di cambiare, migliorandola, la qualità della vita nei suoi aspetti più normali, più quotidiani. Quando questo avviene in un paese con difficoltà, come negli esempi mostrati qui sopra, questo valore è esponenzialmente amplificato.
Perciò, se forse non esiste o non è immediatamente visibile, un’estetica della miseria, è vero che la miseria possiede al suo interno, nei suoi bisogni, un’enorme spinta progettuale.
A questi bisogni il Design ha la forza e il dovere di dare una risposta.
Enjoy Your Home!


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